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Il Carnevale è ancora oggi la manifestazione culturale più importante di Ronciglione.
E’ una festa che va snaturandosi, ma che mostra ancora forme e sequenze di una radicata tradizione. Il suo modello formale è il Carnevale romano rinascimentale e barocco.

Il suono del “campanone” che annuncia la festa, la consegna delle chiavi del paese a Re Carnevale, le corse dei Barberi, il saltarello, i carri allegorici, il rituale della morte di Re Carnevale con la “moccolata” finale, la mascherata dei “saracari” (maschere che portano appeso a una canna un puzzolente sarago, mentre nel Carnevale romano vi si appendeva un “caramello”, sono tutti elementi paradigmatici che ritroviamo già nella festa rinascimentale e che, simili, anche Goethe descriverà nel suo “Viaggio in Italia”.
Ma se la forma del Carnevale è rimasta ancora oggi identica, qual’era, ci chiediamo, il senso dell’antica festa? ... Antropologi ed etnologi sono d’accordo nel ritenere le maschere raffigurazioni di morti o di creature inferiche, sotterranee.

Lo stesso termine “maschera” deriva dal longobardo “maska” che significa “defunto”, “creatura sotterranea e notturna”.
Ce lo ricordano le maschere nere e pelose degli “Zanni” con un bubbone sulla fronte a segno di antiche corna diaboliche recise,
ce lo ricordano il costume bianco, larvale di Pulcinella o il camicione da notte, bianco, della maschera ronciglionese di Nasorosso, ubriacone che viene dal mondo sotterraneo delle cantine per portare, con il suo vaso da notte ricolmo di maccheroni, abbondanza e fecondità ... Particolarmente rappresentativa di questa concezione contadina, è la maschera tipica del Carnevale ronciglionese: Nasorosso.
Una maschera insolita ed enigmatica che il lunedì di Carnevale di ogni anno diventa la maschera di tutti i Ronciglionesi e dà vita a quel singolare rituale detto “la pitalata”.
Vestiti con un bianco camicione da notte, i Nasi Rossi calano come un esercito sulla piazza, cantano un inno al vino (“che l’acqua è fatta pei perversi, il diluvio Io mostrò”), rincorrono gli spettatori, salgono con scale sui balconi, entrano nelle case per offrire sadicamente i maccheroni che tengono caldi in un vaso da notte.

Nasorosso è rappresentato con un naso gibboso e le brache imbrattate … tuttavia questa singolare figura di ubriacone che sale dal mondo sotterraneo delle cantine per portare abbondanza di cibo non si spiega se non si tiene presente quella particolare visione del mondo che la cultura popolare ha espresso nel Carnevale quando la festa era rito agrario di propiziazione della fecondità.

L’offerta di maccheroni nel vaso da notte non ha il significato banalmente fisiologico che oggi le si può assegnare.
L’ambiguo accoppiamento escremento/cibo mostra, simbolicamente, che tra natura in decomposizione e natura vivente si voleva stabilire un profondo legame proprio nel momento della festa, nel tempo in cui la natura è morta e il seme generatore sepolto nella terra deve essere risvegliato in modo che possa ricostituirsi indissolubile il ciclo naturale di morti e rinascite.

Nasorosso è figlio di questa visione del mondo, di un rito celebrato, in realtà, per esorcizzare la paura della morte e per affermare la continuità dell’avvicendamento e delle trasformazioni della natura.
L’ambiguità, l’ambivalenza di Nasorosso deriva appunto dal legame che si voleva stabilire fra due contrari, fra opposizioni come escremento/cibo, sterilità/abbondanza, corruzione/rigenerazione, morte/vita.
Ambivalenza che racchiude in sé la prospettiva della negazione, il proprio rovescio, che è in tutti i simboli e rituali carnevaleschi: il rituale del buffone incoronato re della festa, le figure scelte per contrasto (alto/basso, grasso/magro ...), il travestimento, l’uso degli abiti alla rovescia, l’uso degli utensili come armi e così via. Ambivalenza che, del resto, caratterizza la stessa comunità carnevalesca in cui si uniscono derisione (negazione) e giubilo (affermazione) …

Questa figura, che è la più suggestiva di tutto il Carnevale ronciglionese e che è mantenuta per la sua spettacolarità, è in effetti l’immagine più pregnante e superstite di quel teatro contadino.
La sua maschera, in abbigliamento notturno, il suo ornamento, un vaso da notte ricolmo di fumanti maccheroni, riassumono tutto il complesso di motivi che sono alle origini del teatro contadino: bisogni alimentari, bisogni sessuali, bisogni fisiologici, e inoltre il rovesciamento naturale delle cose: il giorno per la notte, l’uomo per la donna.

Le camicie da notte usate per la mascheratura sono dell’abbigliamento femminile e appartengono a una donna conosciuta da Nasorosso; esse evidenziano l’ambiguità sessuale della figura, mentre il vaso da notte con i maccheroni dentro è un’immagine sincretica dei termini primari della vita:
alimentarsi e vivere con il contraltare dell’eliminazione, oppure nascere e morire, in una perenne circolarità.

In Nasorosso coincidono significati escatologici e andamenti di evidente truculenza. Certamente, i componenti del folto gruppo dei Nasi Rossi che, giunti compatti al centro della piazza si lanciano minacciosi contro il pubblico e penetrano nelle case attraverso le finestre raggiunte con lunghe scale, hanno ben poco a che fare con le reali motivazioni della ritualità di una civiltà contadina.

Tuttavia, pur non esistendo attualmente né vincoli culturali tra i componenti, né rapporti tra maschera e suo riferimento oggettivo, il gruppo ha sempre più adepti e successo presso il pubblico che ritualisticamente si ritrae all’offerta del cibo. Le attuali ragioni del successo, come già detto, stanno nella pregevole spettacolarità che accompagna l’azione del gruppo, ma soprattutto nell’agone che si
stabilisce tra Nasi Rossi e pubblico, cioè in una reale e collettiva azione ludica.

Nasorosso è una maschera del teatro contadino, ma è anche una maschera nata a Ronciglione.
Vale a dire che, pur appartenendo alla cultura controriformista ha caratteri esteriormente analoghi a quelli di altre celebri maschere.
Il problema del cibo e del sesso in Nasorosso, si presenta in forma più rozza che in Pulcinella o Arlecchino perché tutt’ora traspaiono le sue motivazioni più arcaiche.
Inoltre, mentre maschere come Pulcinella e Arlecchino, nate anch’esse dalla cultura popolare, sono state elevate e utilizzate dalla cultura ufficiale come elemento di rielaborazione intellettuale e come severo giudizio contro il loro stesso mondo di origine, Nasorosso è rimasto nell’omogeneo mondo
della cultura subalterna.
A mantenere Nasorosso fuori da prospettive letterarie ha indubbiamente contribuito la realtà culturale e sociale di Ronciglione, per cui egli ci viene dalla storia come da un confuso mondo dove tutto appartiene alla comunità.

Nasorosso appartiene, dunque, alla comunità ronciglionese, ma solo come simbolo di un originario rapporto con la natura, perché è ben nota la stratificazione e la settorializzazione che caratterizza la società ronciglionese.

Prof. Luciano Mariti

Il carnevale di Ronciglione ha le sue origini nelle "Pubbliche allegrezze" che si svolgevano nella città durante il periodo farnesiano (1537-1649) (1), le stesse corse dei Barberi, corse di cavalli senza fantino, sono documentate da Papirio Serangeli nel suo volumetto, in esametri latini, Polygraphia Roncilionensium già nel 1609 (2)  e si effettuavano durante la festa del patrono San Bartolomeo in agosto; anche lo storico locale don Osvaldo Palazzi ci fornisce la notizia dello svolgimento della corsa dei Barberi, a Ronciglione, durante la festa di San Bartolomeo nel 1680 (3), è quindi molto probabile che le corse "a vuoto" di cavalli si facessero nella nostra cittadina a partire dal 1570 circa quando ormai le ampie vie rinascimentali della cittadina erano state completate.
L'origine delle corse dei Barberi è da individuarsi nel carnevale romano; è documentato, infatti, che a Roma in via Lata, l'attuale via del Corso, durante il Carnevale si svolgessero corse di cavalli senza fantino a partire dal pontificato di Paolo II Barbo (1464-1471) che le istituì e, come scrive lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, Paolo II fu il primo che in Roma facesse rivivere il carattere pagano dei ludi carnascialeschi (4). La corsa partiva da piazza del Popolo, ove avveniva "la mossa" e terminava alla confluenza con piazza Venezia. A Roma, in via del Corso, che dalle corse che vi si svolgevano prese il nome, venivano effettuate, a partire dal pontificato di Paolo II e almeno fino alla 2° metà del XVII secolo, anche corse di ebrei (che venivano obbligati a correre) ma anche di ragazzi, di uomini adulti, di vecchi e poi anche di bufali e somari. Queste corse sono ricordate da Michel de Montaigne nel suo libro Viaggio in Italia, viaggio effettuato tra il 1580 e il 1581, mentre Johann Wolfgang Goethe descrive la corsa dei Barberi del carnevale romano del 1788 anche lui nel suo libro Viaggio in Italia.
Ritornando a Ronciglione e al Ducato di Castro, ricordiamo come nel Volumen Statutorum del 1558 sono contenute due norme relative allo svolgimento di un palio, nella capitale Castro, durante la festa del patrono San Savino che si celebrava il 15 dicembre. Le due norme in questione sono la rubrica 33 del libro I Civilium -intitolata Quod Judei faciant unum Bravium ovvero I Giudei devono finanziare un palio- che obbligava gli ebrei di questa cittadina a versare dodici fiorini per finanziare la corsa dei cavalli, che non sappiamo se fosse con o senza il fantino, e la rubrica 18 del libro I Civilium, intitolata De Officio Camerarii Communis, che disciplina, fra l'altro, lo svolgimento del palio a cui potevano partecipare solo cavalli maschi; il fatto che a Castro si svolgesse una corsa di cavalli già nel 1558 rafforza l'ipotesi che questa si effettuasse anche a Ronciglione nella 2° metà del XVI secolo.
Probabilmente il carnevale nasce a Ronciglione verso il 1570 insieme alle corse dei Barberi, ma il primo documento conosciuto che si riferisce al carnevale di Ronciglione è del 12 gennaio 1748, si tratta di un editto del Vescovo di Sutri e Nepi Giacinto Silvestri -stampato a Ronciglione per i tipi di Domenico Poggiarelli- che disciplina il carnevale di quell'anno, con particolare riguardo all'uso della maschera, ma vi sono anche disposizioni sui ciarlatani, saltimbanchi e istrioni e inoltre proibisce agli ecclesiastici, sotto gravi pene pecuniarie, di partecipare ai divertimenti carnascialeschi, e infine c'è anche una norma che prevede come tutti i festeggiamenti dovessero finire necessariamente alla mezzanotte del martedì grasso (5).
Un altro documento molto importante, tratto dall'Archivio Storico Comunale, è del 7 febbraio 1810 ed è una circolare di Giulio Zelli Pazzaglia, sotto Prefetto del Circondario di Viterbo, indirizzata al Maire (Sindaco) di Ronciglione, che regolamenta l'uso della maschera per il carnevale di quell'anno ben' inteso però che sarà sua cura (del Maire) di fare i regolamenti di Polizia, e di prendere tutte quelle misure, che crederà, e sono necessarie a mantenere il buon' ordine, la decenza, il rispetto alle cose Sacre, ed alle Autorità (6).  Questo documento dimostra come già da quell'anno, ma forse anche prima, era stato ripreso il carnevale dopo il saccheggio e l'incendio ad opera delle truppe giacobine francesi, comandate dal Generale François Valterre, che da Roma si stavano portando a Viterbo e che incendiarono la cittadina il 28 luglio 1799 a causa del fatto che gli abitanti, filopapalini, insorsero contro di loro.
Un successivo documento, sempre tratto dall'Archivio Storico Comunale, è del 26 gennaio 1820 e si tratta di un autorizzazione -data dal Cardinale Consalvi da Roma e rilasciata ad alcuni attori dilettanti di Ronciglione- colle solite cautele e regole, per poter svolgere nella cittadina nel tempo del prossimo carnevale…alcune comiche rappresentazioni in un loro teatrino (7).
Un altro documento -pubblicato nel libro Ronciglione, le Corse a Vuoto del prof. Flaviano F. Fabbri e Bruno Pastorelli edito nel 1999- è un manifesto che disciplina le corse dei Barberi nel palio estivo di san Bartolomeo del 1827, palio che si corre il 25 agosto per la festa del patrono.
E' probabile che nella 1° metà del XIX secolo, con la ripresa dei festeggiamenti del nostro carnevale dopo l'infausto incendio della città nel 1799, siano state introdotte nel programma le corse a vuoto che sino a quel momento ci risulta fossero disputate solo durante la festa di San Bartolomeo. Nel 1866 abbiamo il primo documento conosciuto che attesta lo svolgimento delle corse dei Barberi durante il carnevale, difatti il Centro Ricerche e Studi, nella persona dell'allora Presidente prof. Francesco Maria D'Orazi, trovò nel 1987 alcuni documenti datati 1866, nell'Archivio Storico Comunale, che elencavano i nomi dei cavalli che dovevano partecipare alle batterie ("carriere") delle corse a vuoto organizzate per il carnevale di quell'anno.
Ricordiamo, inoltre, che nel 1835 nasce la Banda cittadina che diviene subito un sostegno fondamentale per lo svolgimento del carnevale, mentre è tradizione orale che il drappello degli Ussari sia nato nel 1866, la leggenda racconta che un capitano degli Ussari francese, di stanza a Ronciglione con la sua compagnia, venuti, con l'esercito francese, in difesa dello Stato Pontificio, si innamorò di una bella signora ronciglionese e per fare bella figura davanti ai suoi occhi sfilò più volte, durante il carnevale, alla testa del suo drappello di soldati a cavallo, dando così origine alla cavalcata degli Ussari; questa è la leggenda, quel che è certo è che in un documento del 1866 dell'Archivio Storico Comunale risulta che un drappello di Ussari, stanziati in una caserma di Ronciglione, partecipò al carnevale sfilando per le vie del paese.  Oltre alle corse dei Barberi, alle mascherate e ai veglioni in maschera, la presenza dei carri allegorici, nelle sfilate del corso di gala del carnevale, è documentata già nel 1881, come testimonia il manifesto di quell'anno conservato presso la Pro Loco cittadina, mentre da una locandina del carnevale del 1886 leggiamo come i due carri allegorici più importanti siano stati realizzati dall'ottimo pittore ronciglionese Nazzareno Diotallevi (1850-1919), uno intitolato "Il Capitano Cecchi alla corte di Iohannes Re di Abissinia" (eseguito a cura del Comitato del carnevale) e l'altro raffigurante "Giove nell'Olimpo circondato dagli dei".
Ricordiamo anche la "Compagnia dei Ragni e Nottoloni" e la "Compagnia del Ghetto", associazioni di bontemponi sorte a Ronciglione verso la fine dell'Ottocento e che avevano il compito di fare baldoria e probabilmente anche quello di accompagnare il funerale di Re Carnevale.
Il modello a cui si ispira il nostro carnevale è sicuramente il carnevale romano rinascimentale e barocco. Il suono del "campanone", posto sopra il tetto del municipio, che annuncia la festa, la danza popolare del saltarello accompagnata dalla banda comunale, i carri allegorici, le mascherate, la corsa dei Barberi, il rituale della morte di Re Carnevale con la pittoresca fiaccolata accompagnata dalla Compagnia della Penitenza e dalle vedove vestite di nero di Re Carnevale assistite da diversi "cerusici" e con la morte vestita di nero, su alti trampoli, con la lunga falce in mano, la sfilata e la carica dei "Nasi Rossi", sono elementi che ritroviamo, a volte con delle variazioni, nel carnevale romano rinascimentale e barocco e che Johann Wolfgang Goethe descriverà nel suo libro Viaggio in Italia, viaggio compiuto tra il 1786 e il 1788.
Nell'anno 1900 nasce, con atto costitutivo ancora oggi conservato, l'associazione dei "Nasi Rossi", maschera tipica locale che offre -da allora tutti gli anni il lunedì di carnevale- ai numerosi cittadini e turisti presenti, nella bella scenografia di piazza della Nave, rigatoni al ragù contenuti dentro pittoreschi "pitali" di terracotta.       Ricordiamo, poi, come nel periodo fascista e durante la 2° Guerra Mondiale siano state sospese le corse a vuoto e come, qualche anno più tardi, il benemerito Angelo Guido della Manna (1903-1957) donò alla sua morte un lascito di 300.000 lire che ogni anno dovevano essere versate al Comitato del carnevale per lo svolgimento e la premiazione delle corse a vuoto e, per questo motivo, a partire dal 1958, il palio venne a lui intitolato.
Nel 1977 sono state costituite le Scuderie, oggi chiamate Rioni, in numero di nove, per 18 cavalli partecipanti alle corse a vuoto ed è stata data una nuova regolamentazione alle corse. Negli anni '70 e '80 sono nati nuovi gruppi che sfilano tradizionalmente durante il lunedì "gastronomico", come i "Saracari", armati di lunghe canne alla cui estremità pende una "saraca" ovvero un'aringa essiccata e maleodorante, ma poi anche i "Polentari", i "Faciolari", i "Tripparoli" e i "Fregnacciari" che hanno reso il nostro carnevale sempre più ricco e divertente al grido popolare e tradizionale di "Chi urla, urla!", e poi ricordiamo la Confraternita di Sant'Orso che distribuisce, il giovedì grasso, vino e tozzetti alla gente.
Nei primi anni '70 è nato il Carnevale dei Bambini con mascherate realizzate dalla locale Scuola Elementare e poi anche dalle due Scuole Materne di Ronciglione e che sfilano tutte insieme, accompagnate da valenti e spiritose maestre, il giovedì di Carnevale.
Nel 1986 è nata la Compagnia della Penitenza che ha il compito di preparare e accompagnare il funerale di Re Carnevale che risulta già inserito nel programma del carnevale del 1881 che dice testualmente Ore 8,30 nella piazza Vittorio Emanuele illuminata a bengala cremazione del carnevale ed ascenzione (sic) delle ceneri del medesimo alle nuvole per mezzo di un grandioso globo areostatico (sic), ancora oggi Re Carnevale, rappresentato da un grosso pupazzo di cartapesta, viene portato in cielo, in modo spettacolare, da un globo aereostatico multicolore il martedì sera in piazza della Nave; la Compagnia della Buona Morte, nata nel 2016, accompagna anch'essa il funerale di Re Carnevale con il compito di trasportare materialmente il globo aereostatico.
Non dimentichiamo, infine, le commedie che, soprattutto a partire dagli anni '90, vengono rappresentate durante il periodo di carnevale -tra cui ricordiamo l'ormai tradizionale e divertente "Naso Rosso" scritta e diretta dal prof. Luciano Mariti- e che hanno trovato una sede adeguata nel nuovo Teatro comunale inaugurato nel 2007 e dedicato al celebre comico, di genitori ronciglionesi, Ettore Petrolini.

Prof. Carlo Maria D'Orazi - Centro Ricerche e Studi di Ronciglione

Note:
(1) Cfr.: D'Orazi F.M., Ronciglione capoluogo della Pier Contea Farnesiana, sta in: Tullio Cima, Domenico Massenzio e la musica del loro tempo, Atti del Convegno Internazionale, a cura dell'IBIMUS, Roma 2003, pp. 75 e ss.
(2) Cfr.: Serangeli P., Polygraphia Roncilionensium, Colaldi e Dominici, Ronciglione 1609, ristampe anastatiche del 1970 e del 2004, a cura del Centro Ricerche e Studi, Tip. Spada, Ronciglione, p.32.
(3) Cfr.: Palazzi O., Ronciglione dal XV al XIX secolo, Tip. Spada 1977, p. 144.
(4) Cfr.: Ademollo A., Il carnevale di Roma, Casa Editrice A. Sommaruga e C., Roma 1883.
(5) Vedi: Fabbri F. F., Boldrini S., Cangani M., Il Carnevale di Ronciglione, Grafica 2000, Ronciglione 2004, p. 10. Il libro pubblica la foto del documento.
(6) Vedi: Fabbri F. F., Boldrini S., Cangani M., Il Carnevale di Ronciglione, Grafica 2000, Ronciglione 2004, p. 11. Il libro pubblica la foto del documento.
(7) Vedi: Fabbri F. F., Boldrini S., Cangani M., Il Carnevale di Ronciglione, Grafica 2000, Ronciglione 2004, p. 11. Il libro pubblica la foto del documento

Munera felici retulit quae splendida fato Roncilio, Tuscos celeberrimus inter honores
"La sorte felice ha elargito doni splendidi a Ronciglione, celeberrima fra le grandezze della Tuscia"
(Serangeli Papirio, Polygraphia Roncilionensium, Antonio Colaldi e Domenico Dominici, Ronciglione 1609)

Ronciglione è sorta -secondo la teoria più accreditata- molto probabilmente per volontà del Vescovo di Sutri verso la metà del secolo XI per avviare una politica di incastellamento per il ripopolamento del territorio e per la protezione dell'antica città di Sutri. Per questo vennero costruite alcune piccole chiese in posti strategici per favorire la nascita di nuove comunità, sorse così Capranica nel X secolo, intorno all'antica chiesetta di S. Pietro, e analogamente anche gli antichi centri di Vico e Casamala distrutti nel 1431 dal Conte Everso degli Anguillara. Ronciglione si sviluppò gradualmente intorno all'antica chiesa di S. Maria della Provvidenza, in origine dedicata a S. Andrea, che è databile alla metà dell'XI secolo.
Il primo documento che menziona Ronciglione è del 1103 ed è conservato nell'archivio della chiesa di S. Maria in via Lata a Roma, un altro documento è del 1159 ed è conservato nell'Archivio Segreto Vaticano (1). Ronciglione fu soggetta dal XII alla fine del XIV secolo alla potente famiglia romana dei Prefetti di Vico che avevano il loro castello principale a Vico sul lago omonimo. A partire dai primi anni del XV secolo Ronciglione passò sotto la signoria dei Conti degli Anguillara, famiglia avversa ai Prefetti di Vico, sino al 1465 anno in cui il Pontefice Paolo II Barbo (1464-1471) volle riappropriarsi dei castelli posseduti indebitamente dalla famiglia dei Conti degli Anguillara nel Viterbese e, per questo, inviò le truppe pontificie comandate dal Forteguerri. Con la cacciata degli Anguillara il Pontefice Paolo II concesse a Ronciglione l'autonomia amministrativa.
Con Motu Proprio del 17 dicembre 1526 Papa Clemente VII concesse a vita il castello di Ronciglione al cardinale Alessandro Farnese Seniore, che poi diverrà nel 1534 papa col nome di Paolo III, dietro versamento di duemila ducati d'oro (2). Fu Papa Paolo III (1534-1549) ad erigere in Ducato, il 31 ottobre 1537, i numerosi feudi che la famiglia Farnese possedeva nel Viterbese, assegnandolo al figlio Pier Luigi (1503-1547) primo Duca di Castro e Ronciglione a cui successe nel 1547 il figlio secondogenito Ottavio (1524- 1586) visto che il fratello maggiore Alessandro Juniore (1520-1589) era già cardinale (3). La capitale del Ducato era Castro mentre Ronciglione, quando Nepi fu ceduta alla Camera Apostolica nel 1545, assurse al ruolo di capoluogo della regione meridionale visto che il Ducato di Castro era diviso in due territori separati con in mezzo la città di Viterbo.
Il periodo farnesiano è stato sicuramente il migliore vissuto da Ronciglione. I Farnese furono lungimiranti e potenziarono le attività manifatturiere della nostra città sviluppando ferriere, ramiere e concerie (4), nel 1609 fu impiantata la prima tipografia di Antonio Colaldi e Domenico Dominici, nella 2° metà del XVI secolo sorsero anche fabbriche tessili, laboratori per la produzione di armi e anche un laboratorio per la produzione di corde per strumenti musicali; molti mastri artigiani furono fatti venire dal nord Italia a Ronciglione; la nostra cittadina fu trasformata nel centro economico-imprenditoriale più avanzato del Ducato. Anche le tipografie progredirono: qui furono stampati nel 1616 Il Pastor Fido di Giambattista Guarini, poi nel 1624 la prima edizione italiana, dopo quella parigina del 1622, de La Secchia Rapita di Alessandro Tassoni, nel 1648 la seconda edizione degli Statuti farnesiani del Ducato di Castro e Ronciglione, dopo quella di Valentano del 1558, e vi fu anche la pubblicazione di alcune edizioni musicali e notevole fu la produzione di mazzi di carte da gioco molti dei quali venivano venduti nella città di Roma.
Durante il periodo farnesiano (1537-1649) Ronciglione conobbe anche un grande sviluppo urbanistico con la creazione di piazza del Comune e del tridente farnesiano (via della Campana, via Farnesiana e via del Rosario) ma anche di Borgo Ottavio (l'attuale corso Umberto I), piazza della Nave e via Roma, furono costruite ampie strade e numerosi palazzi signorili, ci fu anche un incremento demografico tant'è che alla fine del '500 la nostra cittadina contava circa 3500 abitanti. Oggi Ronciglione rimane, distrutta Castro, con il suo storico impianto urbanistico su larga scala, il massimo esempio di urbanistica farnesiana del Ducato primigenio e in essa si respira ancora l'atmosfera farnesiana delle origini con il grande e ben strutturato Duomo barocco di cui fu il principale progettista Carlo Rainaldi, importante architetto camerale, e la bella fontana cinquecentesca con le tre pròtomi di bronzo di unicorno, opera di Antonio Gentili da Faenza. L'unicorno, simbolo di forza e di purezza, era un emblema araldico che rappresentava la famiglia Farnese e che, a volte, era posto sopra lo stemma con i sei gigli farnesiani, intervallato da un cimiero piumato.
Questo periodo di benessere politico ed economico proseguì anche dopo la fine del Ducato avvenuta nel 1649 quando le truppe pontificie di Papa Innocenzo X Pamphili conquistarono Castro e poi la distrussero. Le numerose attività manifatturiere consentirono alla nostra città di avere una fase di prosperità per tutto il XVIII secolo. Sorsero alcune accademie letterarie la più antica delle quali fu l'Accademia dei Desiderosi nata nella 2° metà del XVI secolo e di cui fece parte anche il notaio e maestro di ginnasio Papirio Serangeli nativo di Torri in Sabina; ricordiamo anche l'Accademia Arcadica Cismina sorta nel 1754 e voluta dai Padri Dottrinari di Ronciglione e poi l'Accademia Erculea degli Aborigeni sorta sotto il pontificato di Pio VI (1775-1799) che poi si fusero nell'Accademia Erculeo Cismina. Non possiamo non ricordare, poi, i due importanti musicisti e compositori barocchi Domenico Massenzio (1588 ca.-1650 ca.) e Tullio Cima (1596-1678) che tanto prestigio hanno dato a Ronciglione e le cui opere sono contenute in diverse edizioni musicali stampate anche a Ronciglione nel Seicento.
Nel 1728 Papa Benedetto XIII conferì a Ronciglione, con il Breve In supremo militantis Ecclesiae solio -visto il progresso economico, demografico, urbanistico e industriale- il titolo di Città.
Purtroppo il secolo XVIII si concluse tragicamente con i moti antifrancesi durante la prima Repubblica Romana del 1798-99. La comunità di Ronciglione insorse contro le truppe francesi che si stavano trasferendo verso Viterbo. La nostra cittadina fu saccheggiata e data alle fiamme per opera dei soldati del Generale François Valter il 28 luglio 1799. L'incendio durò fino al 30 di luglio e furono distrutti 177 palazzi mentre tra gli insorti ronciglionesi morirono 82 persone. Dopo le vicende del 1799, Ronciglione, benché ricostruita, non si riprese più. Diversi opifici vennero chiusi, anche l'ultima tipografia di Clemente Mordacchini fu trasferita a Roma dal figlio Carlo che vi lavorò fin dopo il 1820, la nostra città conobbe un periodo di depressione economica.
Nel 1870 Ronciglione, con l'annessione di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio, entrò a far parte del Regno d'Italia. Ricordiamo, infine, come, molti anni più tardi, durante la 2° Guerra Mondiale, Ronciglione sia stata bombardata da parte dell'aviazione americana la mattina del 5 giugno 1944, a causa del fatto che presso una villa, situata in viale San Francesco d'Assisi nella periferia nord della nostra cittadina, era alloggiato un Comando tedesco; nel bombardamento morirono 185 cittadini e numerosi soldati tedeschi, per questo fatto luttuoso, nel dopoguerra, è stata conferita al Comune di Ronciglione la Medaglia di Bronzo al valor civile.

Prof. Carlo Maria D'Orazi - Centro Ricerche e Studi di Ronciglione

Note:
(1) Cfr.: Palazzi O., Ronciglione dal XV al XIX secolo, Ronciglione, Tip. Spada 1977, p. X.
(2) Cfr. Palazzi O., op. cit., pp. 31-32
(3) Ricordiamo che la famiglia Farnese, nella persona di Pier Luigi, otterrà da Paolo III, nel 1545, anche il Ducato di Parma e Piacenza.
(4) A Ronciglione nel XV secolo erano già presenti ferriere, ramiere, concerie e una cartiera lungo il corso del Rio Vicano. Cfr.: Serangeli P., Polygraphia Roncilionesium, Colaldi e Dominici, Ronciglione 1609, ristampe anastatiche del 1970 e del 2004 a cura del Centro Ricerche e Studi, Tip. Spada, Ronciglione.

Etimologia del nome "Ronciglione"

Per quanto riguarda l'origine del nome "Ronciglione", secondo il prof. Francesco Maria D'Orazi che è stato Presidente del Centro Ricerche e Studi dal 1984 al 2006, l'ipotesi più attendibile sembra essere quella che associa il nome alla conformazione del massiccio tufaceo su cui è stata costruita Ronciglione nel Medioevo:
"Rotondo ciglione - rotondus cilio - roncilio - Ronciglione".

Perché si parla di Ussari a proposito del Carnevale di Ronciglione?
Le spiegazioni sono diverse e come sempre c’è una leggenda di riferimento.
Come ogni buona leggenda anche questa si rifà a una narrazione orale che nel passaggio delle generazioni ha unito avvenimenti storici particolarmente impressionanti e fantasia volando con passo lieve sulla rigorosa intransigenza degli storici.
Gli studiosi indicano che il drappello degli Ussari cominciò a partecipare al Carnevale di Ronciglione a partire dal 1866. Il significato del loro passaggio ha perso nel tempo, il valore di testimonianza documentaria a favore di quello “scenico”.
Nel grande spettacolo che è il Carnevale l’incedere ordinato degli Ussari e la galoppata squarciano il velo magico che separa la realtà dal suo contrario, aprono la strada al carnascialesco mondo rovesciato. È per questo che l’attenzione filologica nella scelta dei costumi perde di importanza.
Non posso fare a meno di pensare alle vecchie fotografie, un po’ ingiallite e con i bordi dentellati, in cui mio padre, Nazareno Mordacchini Alfani, memorabile capitano degli Ussari, viene ritratto, su bellissimi cavalli bianchi o morelli, con preziosi colbacchi o con mantelli svolazzanti.
Il battaglione è diventato negli anni un manipolo di moschettieri, un gruppo ordinato di messicani, una squadriglia di pseudozorro e altre varianti che non ricordo.
Non posso, però, dimenticare l’emozione prima uditiva dello sbattere degli zoccoli sull’asfalto ampliata poi dal vociare eccitato che annuncia la galoppata e quindi l’entusiasmo nel vedere la staffetta che veloce risale il corso, e di seguito il capitano che galoppa con il busto rivolto all’indietro a controllare le terziglie, e in fondo, a chiudere, il serrafile.
Si tratta in realtà solo di pochi istanti, ma sono attimi intensi in cui si è travolti da un’esplosione di energia che deflagra dalle zampe potenti dei cavalli.
Trattenuta dagli esperti cavalieri dentro le fila ordinate del drappello, quella stessa energia verrà poi lasciata libera di manifestarsi nella guizzante euforia del Carnevale.

Francesca Mordacchini Alfani

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